Considerazioni annuali del Presidente A.P.S.P.

Carissimi soci,

il 2021 è stato un anno intenso, ricco di impegni, di iniziative, soddisfazioni e di nuove idee che abbiamo portato avanti assieme con passione. Questo, per molti aspetti, è stato anche l’anno delle conferme e della consapevolezza che ormai, dopo undici anni di attività, la nostra Associazione ha raggiunto la piena maturità istituzionale. Il contributo dell’A.P.S.P. per il cambiamento nella nostra società, favorendo la sostenibilità dell’intero sistema è ormai tangibile e lo conferma l’ormai assiduo ruolo di supporto istituzionale che forniamo ad ogni livello.

Mai come nell’ultimo anno, abbiamo avuto tangibile dimostrazione di quanto il digitale sia un elemento imprescindibile in continua crescita ed evoluzione e in questo contesto le procedure di incasso e pagamento hanno mostrato le loro potenzialità di driver innovativi, dimostrando anche la loro valenza inclusiva a sostegno dell’economia del Paese. Un Paese che, nell’attuale fase, si trova ad un punto di svolta, ce lo dice il ruolo centrale che ha assunto nello scacchiere politico europeo e lo confermano i dati economici. In questa fase, la crescita del PIL sarà addirittura superiore al 6% e, ciò che più conta, tale risultato sarà solo parzialmente frutto del rimbalzo dalla caduta del 2020. Molti indicatori, come ad esempio quelli relativi al credito, evidenziano un ritorno della fiducia da parte dei consumatori e che la crescita possa essere reale e robusta, sintomo di una potenziale ripresa pur in presenza di incertezze di vario tipo ma anche di opportunità uniche ed irripetibili. In un tale scenario, il compito delle imprese, e tanto più delle nostre che offrono una particolare spinta all’innovazione, è quello di accompagnare la crescita offrendo supporto e collaborazione alle Istituzioni nell’attuazione dei progetti di rilancio. Questo è davvero il momento di fare sistema perché un’occasione come questa di collocare l’Italia in una nuova dimensione. L’Italia ha bisogno di coraggio, ambizione e di maggiore fiducia nelle proprie capacità, sia all’interno sia all’esterno, senza rinunciare ad essere protagonista. Dobbiamo puntare, con risorse e ambizioni, alla leadership nella tecnologia.

I mesi che ci attendono, a partire dall’approvazione della prossima legge di bilancio saranno determinanti per stabilire quale sarà il ruolo dell’Italia in Europa, soprattutto ora che la Germania potrebbe lasciare un parziale vuoto di potere nella gestione degli equilibri europei, e che Italia e Francia sembrano essersi avvicinate forse come mai prima d’ora.

Come già fatto nel corso del 2021, nel corso del 2022,  l’Associazione intende essere ancora più presente e spendere le proprie energie per partecipare attivamente alla definizione delle politiche di rilancio dell’Italia dei prossimi anni: dal Recovery Plan alle politiche per la riqualificaizone delle competenze digitali, dalla gestione dei dati alla definizione delle politiche per l’euro digitale, fino al rilancio della strategia cashless e per l’innovazione digitale e 4.0, anche a seguito dell’adesione dell’Associazione all’Hub fintech della Banca d’Italia.

Il prossimo Natale sarà sicuramente un momento di condivisione molto simile a quello del 2020. Ci sarà forse meno convivialità ma ritengo che lo spirito di questa festività ne uscirà rafforzato restituendo – almeno in parte – quel senso di comunione e di comunità che tanti di noi hanno avuto modo di riscoprire. Alla resilienza dimostrata in questi mesi e che ci ha aiutato ad affrontare molti impegni con ottimismo e speranza, si è aggiunta una rinnovata fiducia nel futuro che in Italia non si sentiva da tempo e che dobbiamo essere in grado di catalizzare al meglio per ottenerne ogni possibile effetto positivo.

Questo è il periodo dell’anno in cui tutti noi facciamo bilanci e, nonostante le difficoltà, il 2021 è stato l’anno della speranza e del rilancio, ricco pertanto di fatiche ma anche di soddisfazioni, frutto di impegno e duro lavoro. Se oggi siamo arrivati a far parlare ogni giorno tutte le testate di informazione dei nostri temi è frutto del lavoro svolto negli anni scorsi di cui vado particolarmente fiero a nome dell’Associazione.

Nella speranza che il 2022 sia un anno sereno e di svolta, anche se altrettanto fecondo per quanto riguarda l’attività lavorativa e associativa, l’occasione mi è lieta per formulare a voi e a tutti i vostri cari i miei più affettuosi auguri di Buon Natale.

 

 

Prof. M.M. Pimpinella – Presidente A.P.S.P.

 

CONSIDERAZIONI SULLO SCENARIO ECONOMICO E POLITICO

Il processo di transizione all’economia cashless

Una cosa è certa, la pandemia ha contribuito a creare un’accelerazione nel processo di digitalizzazione che, in condizioni normali, avrebbe richiesto dei periodi molto più dilatati. Tale effetto generale è riscontrabile anche in Italia pur tenendo conto delle peculiarità che ci caratterizzano. Gli effetti di questa accelerazione sono visibili anche nel nostro settore. I pagamenti elettronici, infatti, sono dei protagonisti assoluti della trasformazione digitale e il loro livello di utilizzo è un affidabile indicatore del livello di digitalizzazione della popolazione. Non per nulla, in Italia il deficit digitale di cui soffriamo è andato a lungo di pari passo con una ridotta adozione degli strumenti elettronici di pagamento.

Lo scenario, tuttavia, è in rapida evoluzione e anche gli indici di digitalizzazione e utilizzo dei pagamenti digitali stanno rapidamente cambiando in senso positivo. Come certificato dal PoliMi, infatti, nel primo semestre 2021, i pagamenti digitali hanno toccato quota 145,6 miliardi, con una crescita del 23% rispetto allo stesso periodo del 2020. In questo scenario , il segmento contactless è cresciuto di ben il 26% (da 31,4 a 52,1 miliardi). In generale, tuttavia, tutte le componenti dei pagamenti digitali sono cresciute anche notevolmente e questo rappresenta il segnale più positivo fra tutti, riguardando anche la parte dei pagamenti innovativi.

Il primo semestre 2021 è stato rilevante anche per quanto riguarda le iniziative cashless, sia quelle messe in campo dal precedente governo sia quelle proposte da quello attuale. A partire dal 30 giugno scorso, ad esempio, la misura del cashback prevista dal Governo Conte nell’ambito della strategia cashless è stata ufficialmente sospesa. In vece degli incentivi ai consumatori, tramite il decreto legge recante misure in materia fiscale della scorsa estate, sono stati inseriti o accresciuti gli incentivi in capo agli esercenti quali i crediti d’imposta per il 100%  (dal 50% precedete) delle commissioni e per l’acquisto e il noleggio di pos. In aggiunta a questi, rimane ancora – anche se se ne sente parlare sempre molto poco – la lotteria degli scontrini.

Sempre relativamente al cashback, è lo stesso PoliMi a dirimente almeno in parte la questione della sua efficacia. In un recente report, infatti, ha indicato il rapporto diretto tra tale misura e l’aumento dei consumi da parte dei cittadini che, inoltre, hanno accresciuto l’uso della moneta elettronica anche per transazioni di importo molto ridotto. Il consolidamento delle abitudini di spesa digitali, a prescindere dalle misure cashless, rimane quindi il dato più importante evidenziato anche in audizione presso le commissioni bilancio delle due camere dal Ministro Franco, ciò che rappresenta la vera e più importante eredità di ogni iniziativa di incentivo.

Un altro segnale positivo del maggiore ricorso alla moneta elettronica è indicato dalla riduzione dei prelievi del contante. Ciò riguarda il 3% per numero di operazioni e il 6% in termini di valore. La strada per la realizzazione di un’economia digitale e priva del peso dei contanti è ancora lungo, tuttavia, la strada imboccata sembrerebbe finalmente essere quella giusta.

A tutte le iniziative di incentivo, si aggiunge, infine, un provvedimento che introduce la tanto attesa sanzione, abbinata all’obbligo di dotarsi di POS, per chi rifiuta una transazione elettronica. Si tratta di una iniziativa che chiude idealmente il cerchio e sana un’incongruenza che da troppo tempo gravava sull’intero settore.

 

La trasformazione digitale al servizio dell’inclusione sociale

Oggi, è possibile considerare moderno e sviluppato un paese anche se non vi è sempre piena inclusione digitale della sua popolazione, delle imprese e della pubblica amministrazione?

L’Italia, ad esempio, è il Paese degli smartphone, tanto che i contratti di telefonia mobile sono circa 86 milioni, oltre 25 milioni in più dell’intera popolazione, compresi i neonati e gli ultra ottantenni (ai primi posti al mondo per numero procapite). La loro diffusione non conduce però né a maggiori competenze in ambito digitale né ad una vera integrazione sociale dei loro possessori. Si tratta di un’evidenza fotografata, per quanto riguarda le imprese e i cittadini dall’Indice europeo DESI che nel 2021 vede l’Italia al 20° in Europa. In miglioramento ma con il perdurare delle carenze strutturali in termini di competenze caratteristiche anche delle osservazioni precedenti. Si tratta di uno scenario sostanzialmente confermato da quanto recentemente emerso dalla classifica redatta dal Digital Riser Report 2021 di Berlino in cui l’Italia è passata nel giro di un anno dall’ultimo al secondo posto nel G7 quanto a trasformazione digitale, mettendosi dietro paesi come gli Stati Uniti, la Francia, la Germania, il Regno Unito e il Giappone, mentre nel G20 siamo 8° con dietro paesi come la Corea del Sud. Il risultato suggerito dalla classifica non significa però che tutto sia risolto. Nel Paese ci sono ancora rilevanti sacche di ritardo, mancata inclusione e alfabetizzazione digitale ed è su questo che la politica deve intervenire e continuare a lavorare mettendo al centro del dibattito pubblico la strategia digitale e utilizzando l’immagine di questa classifica come uno stimolo al miglioramento.

In Italia, stiamo affrontando una lunga fase di transizione dall’analogico al digitale fatta di vette di eccellenza ma anche di baratri di arretratezza causati da resistenze, anacronismi, cattive pratiche ed abitudini e da competenze specifiche quasi mai all’altezza.

Tutto ciò non può che produrre, in economia così come nello sviluppo sociale, un Paese a due o più velocità. Di recente, ad esempio, uno studio della Banca d’Italia ha certificato che la Lombardia è la regione più digitalizzata d’Italia, mentre le altre, con in testa quelle del Mezzogiorno seguono, talvolta a grande distanza. Eppure, viviamo di contraddizioni. Senza semplificazione non potranno mai esserci nè efficienza né vero benessere bensì la perdita di opportunità ed investimenti sia pubblici sia privati che domani saranno ancora più importanti per il rilancio di un Paese martoriato dall’epidemia nel fisico ma che nello spirito conserva intatte le proprie forze.

In Italia, sono quasi 86 milioni i contratti mobile, oltre 25 milioni in più rispetto all’intera popolazione italiana contando anche i neonati.

Tali numeri rispettano la proporzione degli account globali dei social network che, infatti, entro il 2023 dovrebbero crescere fino a registrare oltre 3 miliardi di utenti nel mondo.

Il mobile può essere un eccezionale strumento sia di incentivo dell’economia digitale sia di inclusione finanziaria e sociale che, tuttavia, molto spesso è utilizzato in maniera poco approfondita e per svolgere essenzialmente attività ludiche e poco specifiche.

L’esperienza pandemica che stiamo vivendo ha sicuramente dato un importante impulso allo sviluppo dell’economia digitale e alla codificazione di nuove abitudini e di nuovi “modi di vivere”, tuttavia, in assenza di competenze coerenti col cambiamento, vi è anche il pericolo che possa avere luogo una fuga in avanti della tecnologia che lascia indietro coloro che non sono stati in grado di adeguarsi.

Nel nostro tempo, invece, l’inclusione digitale è sempre più assonante con il concetto (più ampio) di inclusione sociale e questa per avere successo, a sua volta, non può fare a meno della trasformazione digitale, di competenze varie e ramificate e di un profondo processo di rinnovamento e semplificazione radicale, che parte dalle amministrazioni pubbliche e che coinvolga imprese e cittadini.

Ciò che stiamo vivendo ha sicuramente dato un importante impulso allo sviluppo dell’economia digitale e alla codificazione di nuove abitudini e di nuovi “modi di vivere”, tuttavia, in assenza di competenze coerenti col cambiamento, vi è anche il pericolo che possa avere luogo una fuga in avanti della tecnologia che lascia indietro coloro che non sono stati in grado di adeguarsi.

Certo, la crescita esponenziale nell’utilizzo di app e software come Zoom o Microsoft Teams è significativa ma non ci fornisce la percezione di quanto, effettivamente, gli italiani sappiano fare e se siano in grado di governare fenomeni complessi.

I recenti avvenimenti hanno avuto, quindi, l’effetto di spogliare completamente il re della nostra formazione, un grande e corposo gigante dai piedi d’argilla che ha mostrato tutti i suoi altrettanto grandi limiti. 26 milioni di italiani tra i 16 e i 74 anni non hanno competenze adeguate per esercitare compiutamente i diritti di cittadinanza digitale e circa 15 milioni navigano su Internet con conoscenze tecniche inferiori a quelle di base.

Come riconosciuto anche dal Governatore della Banca d’Italia Visco, infatti, l’Italia sta accumulando “un nuovo ritardo” anche nelle tecnologie digitali e questo, stando all’analisi del Governatore, “non sorprende”. Stiamo essenzialmente ripercorrendo un percorso gia’ visto negli anni Novanta con la diffusione dell’ICT, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e questo vale sia per le imprese sia per i singoli individui, col risultato che gli uni si sentono stranieri in una società che non li riconosce e alla quale non partecipano appieno e gli altri accumulano un rilevante ritardo competitivo nei confronti delle imprese internazionali.

Nella società del presente, fornire conoscenza e competenza ai cittadini significa renderli partecipi della società,  porre le basi per l’avvio di una nuova fase economica  resiliente ed ambiziosa e, soprattutto, renderli veramente cittadini.

La “Strategia nazionale per le competenze digitali” elaborata dal ministero per l’innovazione per colmare il ritardo di competenze di cui soffriamo e favorire l’inclusione digitale, si prefigge di contrastare il digital divide e la diffusione della conoscenza innovativa avanzata sostenendone la diffusione in tutto il ciclo dell’istruzione. Tuttavia, i tempi sono estremamente ridotti e non è dato sapere attualmente se questa iniziativa possa essere sufficiente a ridurre il distacco di cui soffriamo.

Grazie alla loro immediatezza e all’interfaccia “amichevole”, le nuove tecnologie come il 5G potranno essere d’aiuto per favorire l’inclusione digitale.

Infine, per rendere la nostra società realmente avanzata ed evitare che parti importanti di essa rimangano attardate, dobbiamo  pianificare da subito il presente e offrire alle nuove e vecchie generazioni programmi efficaci e in linea con le nuove esigenze delle imprese, della PA e del mondo digitale che ci circonda.

I dati abilitano l’economia digitale, ma servono norme per regolarne l’uso

Accendendo la televisione e sintonizzandoci su una qualsiasi rete o leggendo parte considerevole della nostra stampa, quando si parla di pagamenti elettronici, si finisce sistematicamente col disquisire se siano più o meno funzionanti, legandoli indissolubilmente ad aspetti essenzialmente monetari.

Peccato però che la questione sia da un lato più semplice e dall’altro molto più complessa. I pagamenti elettronici, infatti, oggi non devono più dimostrare nulla a nessuno, avendo già dato ampia evidenza sia della loro sicurezza sia della capacità di sostenere interi comparti economici, proprio nel momento più buio come quello del lockdown e della pandemia in generale. E questo sarebbe l’aspetto semplice per evidenza.

Quello complesso risiede nello scindere lo stretto rapporto tra pagamenti elettronici e servizi finanziari e mera transazione, permettendo, invece, di far emergere l’aspetto in cui risiede la vera innovazione: i dati. Si perché i pagamenti elettronici sono essenzialmente dati, informazioni digitali sulle nostre abitudini e i nostri comportamenti, il fattore più ghiotto ed importante su cui tutti gli operatori finanziari, così come gli enti governativi e persino i pirati del cyber spazio desiderano mettere le mani.

L’avvento della PSD2, del Fintech, delle big tech, dell’open banking e della trasformazione digitale hanno stravolto le logiche del mondo dei servizi finanziari rendendo questo scenario un banco di prova estremamente probante per tutti i soggetti che vi si cimentano, che sono andate ben al di là della semplice offerta in forma digitale di un servizio offline. Dai pagamenti al credito, sono scesi nell’arena tutta una serie di nuovi players che, assecondando o creando nuovi modelli di consumo e di vita, hanno contribuito a cambiare lo scenario esistente nel quale è aumentata enormemente non solo la concorrenza ma soprattutto la mole di informazioni disponibili che loro stessi sono in grado meglio di altri di intercettare.

Al di là di quello che alcuni possano pensare, tuttavia, questa ventata di innovazione dall’esterno è stata utile a tutto il sistema per crescere, farlo maturare e sviluppare un nuovo standard di servizi più in linea anche con le aspettative dei consumatori, instillando un prezioso valore aggiunto di cui sarebbe probabilmente stato sprovvisto.

E niente di tutto ciò sarebbe stato possibile, compresa la stessa trasformazione digitale, senza la crescita della data economy, alimentata dai cambiamenti normativi. Anzi. Il principio base dell’open banking poggia proprio da un lato sulla fruizione da parte dei clienti delle informazioni relative alle proprie transazioni e dall’altro sul principio della condivisione delle informazioni e un forte accrescimento della loro tutela nell’apertura.

In tale contesto l’acquisizione, l’elaborazione, l’arricchimento e l’utilizzo dei dati, delle transazioni e non solo, è determinante a creare dei dettagliatissimi profili dei consumatori, ed è evidente che chi possiede tutte queste informazioni possa godere di un notevole vantaggio competitivo. Ciò che però, a questo punto, diventa indispensabile è che vi sia uno stretto controllo sulle attività di tutti gli operatori in modo che vengano appianate le asimmetrie e che tutti possano partecipare allo stesso gioco alle stesse regole. Eppure, nell’era dell’open finance, una ricerca di Forrester Consulting ci dice che solo il 12% degli operatori bancari è pronto per il digital: segnale che le differenze e le asimmetrie esistono ma molte di queste risiedono anche nella predisposizione di ciascuno di noi di sposare ed incentivare l’innovazione.

La data monetizazion come valore presente e futuro dell’economia digitale

Abbiamo spesso considerato i dati personali come “l’oro nero” dell’economia digitale, ma presto questa affermazione potrebbe diventare persino riduttiva. Ebbene, il recente schema di decreto attuativo in corso di adozione dal parte del Governo in attuazione della direttiva europea 2019/770 (la cui entrata in vigore è attesa per il 1 gennaio 2022), che di fatto ammettono l’utilizzo dei dati per l’acquisto di contenuti digitali, potrebbe addirittura rilanciate su questo tema. Anzi, se da un lato i più preoccupati per la privacy potrebbero storcere il naso, la notizia è da accogliere con favore. L’esplicitazione di una pratica comune già da tempo, infatti, contribuisce a fugare buona parte delle ambiguità che riguardano la protezione dei dati e l’ambito di applicazione ponendo le basi per una regolamentazione puntuale del fenomeno.

Fino a poco tempo fa era, ad esempio, in voga un adagio secondo il quale “se un prodotto digitale ci viene fornito gratuitamente il prodotto siamo noi”, ovvero i nostri dati personali. Il cambiamento che segue la svolta normativa prevede invece la liceità dello stabilirsi di un negozio giuridico tra chi offre un servizio e chi lo paga attraverso la cessione delle proprie informazioni.

Si tratterebbe di un nuovo paradigma “filosofico” nell’ambito della gestione del dato personale, non più solo considerato come inalienabile estensione della persona ma anche come potenziale strumento di pagamento che ciascuno di noi può (se lo desidera) cedere.

L’istituzione di una regolamentazione giuridica del rapporto di cessione configura anche non solo maggiori tutele ma anche maggiori servizi nei confronti del contraente debole (cioè di chi cede il dato)

Allo stesso tempo, è nel riconoscimento per legge di un dato di fatto e del valore del dato e della sua “cedibilità” che risiede anche il rafforzamento stesso della sua tutela. Anche se la direttiva evita di considerare i dati come una merce ma conferma la loro utilizzabilità come un corrispettivo avente valore commerciale per ottenere determinati servizi.

A questo proposito, si apre poi il capitolo della qualità del dato, ovvero di quantificarne il valore. Quanto vale un nome e un indirizzo; le cessioni saranno permanenti o limitate al periodo di utilizzo del bene o servizio; i dati sono tutti uguali o quello di una persona considerata più qualificata è più prezioso e quindi permette l’accesso a maggiori o migliori servizi?

In prospettiva, potrebbe nascere un mercato estremamente complesso, volubile, non ugualitario, fluttuante e composto di varie ramificazioni e livelli, pertanto sarebbe bene ragionare da subito su questo genere di interrogativi, anche al fine di evitare che le eventuali differenze di valore non incidano anche sulla legittima uguaglianza giuridica di ogni individuo.

Ma le questioni non si fermano qui, e quelle più recenti si aggiungono a quelle di vecchia data.

Nell’universo digitale che viviamo e che contribuiamo ad alimentare ogni giorno, infatti, scambiamo costantemente dati: dai social network, ai navigatori, dai pagamenti ai video giochi eccetera. È arrivato il momento di sviluppare anche in Italia una vera e propria economia del dato basata su progetti, strumenti e competenze in grado di incrementare notevolmente la nostra capacità non solo di resilienza ma anche di ripresa e sviluppo economico.

L’assenza attuale di questo genere di organizzazione è un peccato mortale che già paghiamo carissimo ma che potrebbe ampliare ulteriormente la forbice nei confronti dei paesi più attrezzati, perché non si può campare per sempre di rendita e, nel mondo connesso di oggi, senza la capacità di elaborare e governare le informazioni e senza una programmazione consapevole almeno di medio periodo, ogni attività economica è destinata ad essere al minimo depotenziata o a non avere alcun successo.Dare il giusto valore al dato e costruire una coerente economia attorno ad esso è già di per sé una strategia di lungo periodo che garantisce anche la sostenibilità economico-sociale dell’intero Sistema Paese.

Facciamo il punto sulle valute digitali

Il confronto tra le valute digitali sarà uno dei principali temi geo-politico-finanziari dei prossimi cinque anni. Troppi e troppo evidenti i segnali per essere ignorati e troppo rilevanti sono i soggetti ormai entrati nella contesa. Anche se battuto sul tempo dal Sand dollar delle Bahamas, il Renmimbi digitale cinese rimane il capofila dei progetti su larga scala delle valute digitali garantite dalla banca centrale. Ci sarebbero (in ipotesi), addirittura, dei progetti secondo cui Oppo, uno dei principali produttori di smartphone cinese al mondo avrebbe già preparato uno speciale wallet per accogliere la nuova moneta virtuale.

A quanto ci è dato sapere, in ogni caso l’attesa almeno in Cina non dovrebbe essere ancora lunga. La fase di test procede ad uno stato avanzato, tanto che la moneta digitale è già stata distribuita a diversi milioni di cittadini sparsi in alcune città della Cina tra cui la capitale Pechino in cui lo Yuan digitale è diventato un ticket premio di una lotteria. Sarebbe il vero grande test su larga scala della moneta digitale il cui rilascio definitivo, secondo alcuni, potrebbe avvenire in occasione delle olimpiadi invernali del 2022. Se, stranamente, crediamo di saperne abbastanza sullo Yuan digitale, sappiamo invece relativamente poco per quanto riguarda il dollaro. Gli americani sono tradizionalmente molto legati all’immaginario che ispira in loro il “biglietto verde” ma il suo dominio ha i mesi contati. Secondo alcuni esperti di finanza e mercati globali, il dollaro potrebbe infatti perdere un ulteriore 35% di valore entro la fine dell’anno. Per il definitivo passaggio dal dollaro allo yuan potrebbero volerci ancora degli anni, ma non abbastanza per far dormire gli americani sonni tranquilli, motivo per cui anche negli Stati Uniti procedono i test e gli studi di fattibilità per la propria moneta digitale. I progetti in ballo sarebbero addirittura cinque, alcuni dei quali avviati in collaborazione con imprese private. Sui progressi, tuttavia, rimane un certo riserbo anche se da ciò che trapela la moneta digitale a “stelle e strisce” potrebbe entrare in una fase di sperimentazione avanzata già durante il 2021.

In tutto il mondo, sono ormai sempre più numerosi i paesi che stanno avviando una fase di test di fattibilità. Tra queste, vi sono la Russia , la Cambogia, l’Ucraina, la Svezia e tante altre. In realtà, si parla soprattutto della Cina perché rappresenta il caso potenzialmente più dirompente ma, di fatto, questa rappresenta solo il terzo progetto più avanzato dietro appunto quelli di Bahamas e Cambogia.

Nella nostra percezione, invece, dell’euro, forse perché ci riguarda da vicino, o forse perché a parlarne è spesso il membro del board BCE italiano Fabio Panetta, dopo lo yuan, si sente spesso parlare e si moltiplicano speculazioni e ragionamenti su quello che potrebbe essere il suo impatto  sia sul sistema dei pagamenti, sia sul risparmio, con le banche come soggetti estremamente interessati degli sviluppi.

Ammesso che tutto proceda regolarmente nel corso della fase istruttoria e di test, la deadline è fissata al 2026, forse persino troppo in là considerata la velocità con cui l’economia digitale si evolve. Le questioni da dirimere non mancano: da quelle tecniche, alla privacy, al rapporto tra BCE e il ruolo banche commerciali, a quanti euro digitali potranno essere effettivamente depositati presso la Banca centrale, al ruolo del contante eccetera.

Un mantra però accomuna da sempre le parole di Panetta e della Lagarde “l’euro digitale servirà a migliorare il funzionamento del sistema, privo di rischi, accessibile ed efficiente, ma non a costo della stabilita’ del sistema e sarà pensato per i cittadini”. Tra l’altro, da quanto emerge da un comunicato della BCE redatto dallo stesso Panetta, le intenzioni sono quelle di concertare al massimo l’adozione della nuova moneta: “saranno coinvolti anche cittadini, commercianti e l’industria dei pagamenti – spiega Panetta -. Durante la fase di indagine del progetto, l’Eurosistema si concentrera’ su un possibile design funzionale basato sulle esigenze degli utenti (…) che coinvolgera’ focus group, prototipazione e lavoro concettuale”.

Interpretando le loro parole, si tratterà quindi di un progetto da avviare e da condurre in porto ad ogni costo ma non costi quel che costi.

D’altra parte, la nascita stessa delle monete digitali garantite dalle banche centrali deriva quasi più dall’esigenza di contrastare la decentralizzazione dei sistemi e degli strumenti di pagamento, dalla necessità di stabilire la supremazia monetaria e dal bisogno di tutelare allo stesso tempo il ruolo centrale delle istituzioni finanziarie “ufficiali” più che da effettive esigenze di sviluppare tecnologicamente nuove strade capaci di garantire l’inclusione finanziaria dei popoli. Non è un caso a questo proposito che una fondamentale sterzata sia stata impressa allo sviluppo di questi progetti dai primi annunci di Libra e dalla diffusione mainstreamdelle cripto valute.La strada è ancora lunga per vedere esplicitamente il confronto di questi soggetti, il mondo va però polarizzandosi tra i fautori della centralizzazione e quelli della decentralizzazione, ciò che in tempi più brevi condurrà verosimilmente ad una sorta di resa dei conti dalla quale il sistema finanziario internazionale ne uscirà ulteriormente ed irrimediabilmente trasformato.

  Per finire, vorrei ringraziare tutti voi associati che supportate quotidianamente il nostro lavoro e ci aiutate attivamente. La nostra Associazione è fatta di tante anime, suggerimenti, ed iniziative che si coniugano in una sola voce che offre il proprio contributo a chiunque abbia la lungimiranza di volerlo ascoltare. Sono convinto che la strada che abbiamo intrapreso insieme sia la via maestra per la realizzazione di un Paese più forte, più competitivo, più coeso e indirizzato alla realizzazione di una società resiliente ed inclusiva tesa alla crescita ed al benessere. Viva l’A.P.S.P.

 

Prof. M.M. Pimpinella – Presidente A.P.S.P.

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